19 ott 2009

Antonia Assunta Paladino, Sindaco di Scilla



La Dott. ssa Antonia Assunta Paladino fu una delle prime donne in Italia ad essere eletta Sindaco e Scilla ne vanta il primato negli anni '50.



Nacque a Scilla nel 1920 e quì frequentò la scuola elementare. Continuò i suoi studi a Messina e si trasferì a Torino dove si laureò in medicina nel 1943. Trascorse ancora qualche anno lontana dalla sua famiglia a causa dello scoppio della Seconda Guerra Mondiale e ma nel frattempo prese parte alla lotta clandestina.



Giunse a Scilla nel 1946, dedicandosi alla professione di medico e intraprendendo la carriera politica. In quegli anni si andava consolidando la questione meridionale, alla quale, la Dott. ssa Paladino si interessò, soprattutto preoccupandosi della situazione della donna in Calabria. Si specializzò in psicologia clinica e collaborò con l’istituto di Osservazione minorile del ministero di Grazia e Giustizia e poi con il centro medico psicopedagogico dell’ente Nazionale per la protezione morale del fanciullo, ENPMF, di cui divenne direttrice. Contemporaneamente l’incarico di delegata regionale e della democrazia cristiana la portarono ad essere eletta nel consiglio nazionale della stessa democrazia cristiana nel movimento femminile nel quale rimase per quasi 25 anni . La Dott. ssa Antonia Assunta Paladino fu eletta sindaco di Scilla nel 1952 per la democrazia cristiana. Immediatamente comunicò una serie di finanziamenti dalla Cassa Depositi e Prestiti per il finanziamento di alcune opere pubbliche a Scilla. Inseguito venne pubblicata sui giornali locali la notizia di un finanziamento per la ricostruzione della chiesa Madre di Scilla.



Nel dicembre del 1954 la Dott. ssa Paladino si dimise dall'incarico di Sindaco, lasciò la politica e si allontanò definitivamente dalla sua terra. Continuò la sua professione di medico per 50 anni. Le vennero conferite dalla Presidenza della Repubblica le insegne di Commendatore al Merito della Repubblica Italiana.



Scelse una forma di particolare di comunicazione: la poesia. Il suo ultimo libro "Alba e tramonto" fu presentato a Scilla il 21 maggio 2005, occasione in cui fu vista di nuovo protagonista nel suo paese. Morì il 4 giugno 2008 a Pescara, dove viveva con le figlie e i nipoti.

22 giu 2009

Pesca o caccia al pescespada?







Grazie alle correnti dello Stretto di Messina, le acque del mare della Costa Viola e soprattutto di Scilla, sono molto limpide. Per questo motivo da più di 2000 anni, in queste acque è praticata la pesca del pescespada.



In passato l'avvistamento veniva fatto dalla terraferma, cioè dall'alto del castello Ruffo o da alture vicine. Alle urla della vedetta, i compagni, su particolari imbarcazioni (lontri), costeggiavano la costa. Oggi il luntre è stato sostituito dalla passerella, costituita da un albero alto più di trenta metri, alla cui sommità un marinaio ha il compito di avvistare il pesce. Nonostante ciò, la tecnica della pesca non è mutata. Il ramponiere è dotato di un arpione di una lunghezza di circa quattro metri e mezzo con una punta di ferro che si apre appena entra nel corpo del pesce, il quale, una volta dissanguato e stremato, viene tirato sull'imbarcazione.

La caccia è resa un evento spettacolare anche da alcuni rituali rigorosamente tramandati e rispettati, tra i quali l’incisione di una croce che il pescatore fa con le unghie della mano vicino all’orecchio destro del pesce.

Il sanguinoso scontro tra l'uomo e il pescespada, in cui i protagonisti mettono in gioco la propria abilità e la propria forza, ha fatto sì che sin dai tempi remoti si parlasse di caccia e non di pesca.

26 mar 2009

Scilla & Cariddi: il mito.


Se è vero che l’attraversamento del mare rappresenta il superamento di qualcosa di ignoto e quindi di terribile, ancor più pericoloso doveva esser l' attraversamento di un Stretto dove correnti diverse potevano sballottare il naviglio da una parte o dall’altra e dove la visuale da una terra all’altra dava la concreta idea del superamento di un confine.


Fu così che, per gli antichi marinai, lo Stretto di Messina, era abitato da due orribili mostri: Scilla e Cariddi. Da un lato troviamo Scilla, il cui significato greco è "colei che dilania" e dall'altro Cariddi, "colei che risucchia".



Prima di diventare un mostro marino, Scilla era una bellissima ninfa, figlia di Forco e di Ceto. Secondo la leggenda, Scilla viveva in Sicilia, ed era solita recarsi sulla spiaggia di Zancle e fare il bagno. Una sera, vicino alla spiaggia, vide apparire dalle onde Glauco, figlio di Poseidone, un dio marino metà uomo e metà pesce. Scilla, terrorizzata alla sua vista, si rifugiò sulla vetta di un monte che sorgeva vicino alla spiaggia. Il dio, vista la reazione della ninfa, iniziò ad urlarle il suo amore, ma Scilla fuggì lasciandolo solo nel suo dolore. Allora Glauco si recò all'isola di Eea dalla maga Circe e le chiese un filtro d'amore per far innamorare la ninfa di lui, ma Circe, desiderando il dio per sé, gli propose di unirsi a lei. Glauco si rifiutò di tradire il suo amore per Scilla e Circe, furiosa per essere stata respinta al posto di una mortale, volle vendicarsi con una pozione malefica che versò in mare, presso la spiaggia di Zancle. Quando Scilla arrivò e si immerse nelle acque per fare un bagno, vide crescere intorno a sé delle mostruose teste di cani. Spaventata fuggì nell'acqua ma si rese conto che sino al bacino era ancora una ninfa ma al posto delle gambe spuntavano sei musi feroci di cani. Per l'orrore Scilla si gettò in mare e andò a vivere nella cavità di uno scoglio della Calabria, che da lei prese il nome.



Cariddi era una donna, figlia di Posidone e Gea, dedita alle rapine e famosa per la sua voracità. Un giorno rubò ad Eracle i buoi di Gerione e ne mangiò alcuni. Allora Zeus la fulminò facendola cadere in mare, dove la mutò in un mostro che formava un vortice marino, capace di inghiottire le navi di passaggio, per poi sputarne i resti. La leggenda la situa presso uno dei due lati dello stretto di Messina, di fronte all'antro del mostro Scilla.



30 nov 2008

Festa di San Rocco


Nonna Anna racconta...

La festa di S. Rocco, una volta, si protraeva solo per tre giorni. Il sabato si portava "Santa Roccheddu" nella cappelletta al campo sportivo (l'attuale villa comunale), mentre la domenica si portava in processione la statua grande per tutto il paese (in un solo giorno!) accompagnata dalla banda. Quando i portatori uscivano la statua di S. Rocco dalla chiesa per la processione si sparavano i "roteddi": molte persone chiedevano una grazia al Patrono e come voto tenevano in mano "a rotedda" mentre girava e, essendo pericoloso, si coprivano con delle coperte di lana per non bruciarsi.

Tra la folla molte persone portavano "i 'ntrocci", i ceri, con i quali si chiedeva una grazia o si ringraziava per averla ottenuta. Inoltre per ringraziare il Santo per la guarigione di una gamba per esempio, si faceva fare una gamba di cera e si poneva accanto alla statua.

Il lunedì si riportava la statua di "Santa Rccheddu" in chiesa e si sparavano i fuochi d'artificio, spesso nelle vicinanze del castello che si infuocava facilmente.

In piazza veniva montato un palco grandissimo, circondato da tante luci, e il sabato sera si esibiva il gruppo folkloristico del paese, mentre la domenica c'era un intrattenimento canoro.

Qualche settimana prima della festa, la commissione incaricata passava per le case per chiedere un'offerta che sarebbe servita per le spese della festa e il rimanente per costruire l'attuale chiesa di S. Rocco.

7 nov 2008

Preparazione alla Pasqua


Intervista di Graziella alle gemelle Maria e Angelina.

Circa mezzo secolo fa la Pasqua iniziava a sentirsi settimane prima. Si dice che 21 giorni prima della domenica di Pasqua, la gallina iniziava a "sciocchìari", ovvero cantava e ciò significava che era pronta per covare. Così si poneva vicino alla gallina una cesta con 21 uova e la chioccia covava per 21 giorni, ma prima di lasciarla covare bisognava osservare la luna, altrimenti se si fosse sbagliata la fase lunare, i pulcini non avrebbero vissuto a lungo.


Durante la settimana Santa alcune donne si riunivano per lavare i "varetti", le statue che rappresentavano la Passione di Gesù, che erano conservati nella chiesa di S. Rocco. Due delle statue sono Gesù morto ("u Signuri 'nto tambutu") e Gesù Crocifisso, che adesso sono poste nella chiesa Madre. Le donne lavavano le statue con aceto, acqua e olio d'oliva "p'amuri mi lucìunu" (in modo che brillassero). La più "coraggiosa" lavava la statua di Gesù crocifisso e ai bambini era concesso lavare "i peri" (le basi) di tutte le altre statue.
Il Venerdì Santo si portavano i "varetti" in precessione per le vie del paese. La notte di Pasqua si andava a Messa e allo scattare della mezzanotte "sa sparava a 'loria" (la gloria). Il giorno di Pasqua si cucinava l'agnello, si comprava "u 'gneddu i zuccuru" e si pranzava con la famiglia. La Pasquetta si festeggiava sempre in campagna, si portavano uova sode, vino e ciò che rimaneva del pranzo pasquale.

3 nov 2008

"I virgineddi i San Giuseppi"


Intervista fatta da Graziella su come si trascorreva il 19 marzo, giorno di San Giuseppe, a casa delle gemelle Maria e Angelina, che ringraziamo per la disponibilità.

"Quando eravamo piccole, il giorno di San Giuseppe, invitavamo a casa nostra 13 bambini, sia maschi che femmine, appartenenti a famiglie bisognose. Li chiamavano "i virgineddi i San Giuseppi". Pranzavano insieme a noi e nostra zia cucinava pasta e ceci, baccalà fritto, "zippuli" e c'era un'arancia per ogni bambino. Al centro del tavolo apparecchiato sistemavamo un quadretto che rappresentava San Giuseppe e Gesù Bambino.
Dopo pranzo giocavamo tutti insieme e poi "i virgineddi i San Giuseppi" facevano ritorno a casa con un fagottino di pane".

30 ott 2008

Intervista alla nonna


Ecco la prima intervista a... mia nonna. Ieri sono andata a trovarla per informarla che avrò bisogno anche del suo aiuto per pubblicare nel mio blog parte del folclore "scigghitano" e lei, estasiata, mi ha risposto che lo farà molto volentieri.
S= Santina, N A= Nonna Anna

S: ...ehi nonna, mi racconteresti qualcosa del tuo passato?
N A: Sì, certo! Mi fa molto piacere. Ti potrei parlare, per esempio, di come si facevano i fidanzamenti fino ad una sessantina di anni fa. Io ero molto piccola, ma ricordo bene i fidanzamenti dei miei fratelli.
Allora...il ragazzo si presentava con degli amici sotto la finestra di casa della ragazza e con una chitarra suonava la serenata. Dopo qualche giorno veniva invitata la famiglia di lui a casa della ragazza e i due giovani si presentavano. In seguito le due famiglie si recavano a Messina per "comprare l'oro". La famiglia del ragazzo regalava a lei solitamente una collana, un anello, un paio di orecchini, un orologio e una spilla. La famiglia di lei donava al ragazzo una collana, un anello, un orologio e "nu 'mpuntacravatti" (un fermacravatte). Quindi si organizzava una festa con i parenti per il fidanzamento in famiglia.
S: Quanto tempo passava dal fidanzamento al matrimonio di solito?
N A: Non molto...dai due mesi ad un anno. Poco prima del matrimonio si ritornava a Messina per comprare "l'oro buono": collier, anello, orecchini e orologio per lei e per lui solo la collana. Tutti i matrimoni erano di domenica perché nessuno lavorava. Il giovedì prima della cerimonia le donne preparavano il letto degli sposi e veniva consegnata la dote della sposa (il corredo), ma se mancava qualcosa si finiva per litigare.
Dopo la cerimonia si festeggiava insieme ai parenti nella palestra della scuola elementare con dolci e confetti e si beveva un liquore preparato in casa, il rosolio.
S: Quindi...finalmente soli...
N A: Dopo il matrimonio gli sposi dovevano rimanere a casa per otto giorni e tutte le sere organizzare delle cene con i parenti. Terminato questo periodo si riprendeva la vita di sempre.